Angelo Brunetti detto Ciceruvacchio
Il soprannome “Ciceruacchio” ad Angelo Brunetti glielo affibiò, fin da bambino, la madre per il suo aspetto rotondo. Angelo Brunetti nasce a Roma nell’anno 1800. Popolano autentico, figlio di maniscalco, parlava solo in dialetto romanesco. Con un fisico tarchiato aveva, di contro, un carattere gioviale e giocondo. Dotato di una gran parlantina ben presto Ciceruacchio maturerà la vocazione di capo popolo. Era fortemente affezionato al popolo romano, che invitava spesso ad avere maggior fiducia in se stesso. Ciceruacchio svolse, con profitto, i mestieri di carrettiere, mercante di bestiame e di fieno. Per la sua capacità di mobilitare ed interpretare gli umori del popolo romano, divenne famoso e corteggiato dalla gente comune, dai nobili e governanti. Pio IX, certamente impreparato ad affrontare il suo ruolo politico, gli chiede consigli per mitigare le crescenti proteste popolari contro i ritardi delle riforme. Anche Mazzini e Garibaldi durante la breve esperienza della Repubblica Romana, chiesero la sua collaborazione. Egli non lesinò il suo aiuto occupandosi anche di logistica. Ciceruacchio era sensibile e ardito, sempre pronto a sacrificarsi per il bene della gente. Nel 1837 si prodigò, coi suoi mezzi, durante il colera. Nel 1847 si schierò a fianco degli ebrei affinché potessero commerciare anche fuori dal ghetto. Non fece mancare il suo aiuto neanche agli alluvionati, sorpresi da una piena del Tevere. Brunetti conquistò la sua fama con l’eloquenza, ma anche investendo propri averi in feste a banchetti popolari.
Fu cattolico osservante ma, dal 1828, anche carbonaro militante e affiliato alla Giovane Italia. Sostenne, con convinzione e con feste popolari, PIO IX, durante il primo periodo di pontificato. Successivamente si schierò apertamente contro l’operato del governo papale, col primo ministro Pellegrino Rossi, risultò incapace di fare le riforme lungamente attese dal popolo. Alcune fonti storiche lo vogliono tra i cospiratori dell’assassinio dello stesso Pellegrino Rossi. Il suo agire era condizionato dalla mancanza di istruzione. Per questo chiedeva che l’istruzione del popolo fosse sempre compresa nei programmi dei governi del tempo. Quando si trovava di fronte a gente colta perdere la sua naturale eloquenza. Diventava timido e si sentiva inferiore. Questa condizione lo esponevano all’influenza di tutte le persone istruite, che gli ispiravano fiducia. Ciceruacchio era affascinato da Giuseppe Garibaldi, pratico e deciso nell’agire e ammirava Mazzini più prudente e riflessivo. Il modo di agire di Garibaldi lo coinvolse a tal punto che a conclusione della tragica esperienza della Repubblica Romana (per evitare possibili ritorsioni), lo seguì coi suoi due figli Luigi e Lorenzo nella fuga da Roma verso nord. Con Garibaldi, Anita e Ugo Bassi ed altri fedelissimi del generale, fece tappa a San Marino e Cesenatico da dove si imbarcarono su bragozzi per Venezia. All’altezza di Goro furono intercettati da navi austriache. Sbarcati sulla spiaggia si divisero in più gruppi. Ciceruacchio verrà ucciso a mezzanotte del 10 agosto del 1849 a Cà Tiepolo, nel Delta del Po per opera del tenente croato Luca Rokavina. Con lui morirono anche i figli Luigi (Giggi) e Lorenzo ed altri 4 patrioti. Furono traditi dall’oste Fortunato Chiarelli, detto Capitin, che denunciò agli austriaci la presenza di un gruppo di fuggitivi seguaci di Garibaldi. L’aguzzino croato fu sordo ad ogni implorazione di render loro salva la vita. Angelo Brunetti, i figli Luigi e Lorenzo di appena 13 anni, il sacerdote Ramorino Stefano e Parodi Lorenzo di Genova, i romani Fraternali Gaetano e Baccigalupi Paolo e Laudadio Francesco di Narni, furono fucilati brutalmente e sepolti nella golena del PO. I loro abiti vennero divisi far i soldati che li vendettero ai popolani. Solo più tardi su espressa volontà di Garibaldi, del Comune di Roma e della Società Veterani del 1848-49, i resti dei patrioti vennero uniti agli altri caduti del 1849, nell’ossario al Gianicolo a Roma.